01 ottobre 2011

'Ndenna - seconda parte

'NDENNA di Vincenzo Capodiferro
seconda parte 

Al termine della sparatoria, ha inizio la scalata della ‘ndenna; il giovane, che è in grado di raggiungere per primo la cunocchia, prende tutti i premi. Si sale a mani nude […]. Un tempo gli scalatori si impiastricciavano di miele e di terriccio. La ‘ndenna e le proffiche vengono arriffate il giorno della festa alla fine del rito. La ‘ndenna rimane ritta nella piazzetta per una diecina di giorni, diventando sempre più spoglia, fino a quando il vincitore non l’abbatte. Questo rito si collega ai vari culti arborei presenti ancora in Basilicata nei seguenti paesi: Castelmezzano, Garaguso, Accettura, Pietrapertosa, Gorgoglione, con l’uso del cerro, e Rotonda, Viggianello, Terranova del Pollino, con l’uso del faggio […]. Il simbolismo sessuale si può rilevare anche durante la preparazione dei due elementi […]. La cunocchia è la rocca con la quantità di lino o lana avvolta intorno; potrebbe, pertanto, simboleggiare il filo della vita sostenuto dalla ‘ndenna […]. Potrebbe rappresentare l’albero della libertà, innalzato a seguito della rivoluzione partenopea alla fine del 1700 […]. La data della festa è stata mutata varie volte; agli inizi del secolo era fissata al 13 giugno; fino agli anni ’50 entro l’ottavo giorno del 13, per assicurare la presenza della banda musicale; in seguito fu scelta la data del 19 giugno; da due anni è stata stabilita la terza domenica di giugno»[1].
2. « Nel 1636 fu elevato a Patrono di Castelsaraceno S. Antonio di Padova su proposta del P. Carlo Placuzio dell’ordine di S. Girolamo della Congregazione del B. Pietro da Pisa […]. I P.P. Cappuccini diedero la statua, come si rileva dal pubblico strumento per notaro Iacovino […]. I festeggiamenti in onore del S. Patrono si celebrano ogni anno il 17 Giugno con grande intervento anche di forestieri, attratti soprattutto dallo espletamento di una tradizione la quale annualmente si ripete e si rinnova con vero e sentito entusiasmo. Si descrivono, ora, le fasi di quel culto perché, esso, è veramente originale e tale resterà ancora chi sa fino a quando: si tratta dell’albero della cuccagna. Quindici giorni prima della festa, con un bando pubblico si avverte che il giorno X si va a prendere l’albero della cuccagna. Il mattino di quel giorno, tutti i proprietari di buoi si danno convegno nel bosco Favino. Gli animali bovini non sono mai meno di cento. A questi bovari si unisce gran massa di giovani contadini con un palo ciascuno in mano. Dopo la scelta dell’albero e dopo l’abbattimento di esso, tra i bovari si tira a sorte la fortuna e l’onore di cacciare, con i buoi, il fusto bello e pulito, dal bosco. Altra sorte si tira tra i bovari per chi deve entrare l’albero nella piazza di S. Antonio. Dopo una settimana dal prelevamento … si bandisce ancora il giorno nel quale si va nel bosco comunale di Carbone detto Budda, a prelevare la chioma di un abete (detta conocchia) da legare all’albero. A questo il giorno della festa, infatti, ne legano la predetta conocchia carica di agnelli, polli, prosciutti e quindi con grandi sforzi, il grosso e lungo fusto … viene eretto. Si dispongono intorno i tiratori con decine di fucili ed a turno essi aprono il fuoco sui poveri animali. Lo strazio è evidente: sebbene la legge sulla protezione animali lo proibisce, tuttavia la tradizione è tradizione e nemmeno i Carabinieri o le altre autorità possono intervenire: sarebbero guai! Dopo una mezz’ora di fuoco si da il via agli scalatori: è una scena magnifica: come grappoli gli audaci, vestiti con cenci ed impiastricciati di miele e terriccio, salgono; i più forti raggiungono l’alta cima, i meno, a distanza spesso di solo qualche metro dall’agognata vetta, scendono precipitosamente, perché le forze sono venute meno. È una tradizione che si ripete di anno in anno e chi volesse prevederne la fine, azzarderebbe una scommessa non facile a vincersi. Altre due tradizioni sono ancora vive: ogni anno si svolge un pellegrinaggio alla Vergine del Monte di Novi Velia; prima si andava al santuario a piedi impiegando sei giorni … si sale a piedi scalzi, dopo averli immersi in un’acqua che sgorga alle falde del monte […]. L’altra tradizione è quella della formalità del culto dei morti; questo è praticato con un’offerta di grano di orzo alla chiesa ed al prete, il mattino del 2 Novembre, depositando, sul pavimento della chiesa parrocchiale, in un mucchio che man mano va impinguandosi, il piatto di grano. Tutto questo è Castelsaraceno, dove la fede in Dio e nei valori degli uomini; dove la carità verso i simili, alla luce della legge divina ed umana; dove la speranza nelle vicissitudini di una storia sempre migliore, sono le virtù che alimentano l’anima e lo spirito del castellano»[2].


[1] Tratto da T. Armenti – I. Iannella, “Nella magia della fede”, Edisud, Braciliano 1996, pp. 37-54, ove è contenuto anche il canto popolare in onore di S. Antonio.

[2] Tratto dalla “Monografia di Castelsaraceno” di Ermenegildo Cascini, ms, Castelsaraceno aprile 1957, foll. 35-37. Queste sono alcune tra le testimonianze del rito.

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