23 ottobre 2015

“OLTRE IL MARGINE” DI SERGIO PASQUANDREA «Una poesia con un ché del primo Montale che… vive una tensione a scavalcare il margine» recensione di Vincenzo Capodiferro


“OLTRE IL MARGINE” DI SERGIO PASQUANDREA
«Una poesia con un ché del primo Montale che… vive una tensione a scavalcare il margine»

Sergio Pasquandrea è nato a San Severo, in provincia di Foggia, nel 1975. Vive a Perugia, ove insegna e collabora con l’Università. Ha pubblicato diverse raccolte di versi, come: “Approssimazioni” (2014); “Topografia della solitudine” (2010); “Parole agli assenti” (2011). Molti suoi testi sono presenti in diverse riviste ed in blog letterari. Ha pubblicato nel 2014 anche un libro di racconti: “Volevo essere Bill Evans”; nonché il volume: “Breve storia del pianoforte jazz. Un racconto in bianco e nero”. Quest’opera “Oltre il margine” è pubblicata da Fara, Rimini 2015 e risulta vincitrice del Concorso Faraexcelsior 2015. Come suggerisce Daniele Gigli, quella di Sergio è «una poesia con un ché del primo Montale che tuttavia, diversamente da quello, vive una tensione a scavalcare il margine di separazione e riparo dal mondo». E Vincenzo D’Alessio: «Come capita agli innovatori Pasquandrea media la scrittura dei poeti del Novecento aggiungendovi la salinità della sua pungente ironia, nella ricerca di quel “margine” che da secoli chiede alla poesia di svelare “l’animo nostro informe”. Il momento della creatività poetica è un cammino nel silenzio del Tempo ed il Nostro, nel suo dialogo con chi legge, lo ribadisce: “il senso è oltre il margine/ delle parole nel bianco indiviso/ della pagina vuota”». La lirica del Pasquandrea tende stridulamente a stabilire una metafisica dell’esistente: «… La Bellezza/ non redimerà il mondo:/ la Bellezza è il dolore più crudele/ quello che agisce alla radice stessa/ del nervo …». Montale con pennate magistrali descrive questa condizione della esistenziale, heideggeriana, trascendenza dell’essere: «Tutte le cose portano scritto più in là». Vi sono molti temi trasposti nella poesia di Sergio che toccano l’anima. Riprendiamone alcuni: «Essere sveglio mentre tutti dormono». E come non ricordare l’oscuro Eraclito: il mondo appartiene agli svegli, mentre i dormienti vivono nel proprio mondo? La poesia è profonda illuminazione, come quel «M’illumino…». C’è qualche richiamo psicologista, come in “Enigmistica del’Es”: «Il lapsus mi denuncia un desiderio/ inconscio di regressione pre-umana». E in “Oltre il margine”, l’ultima poesia, Sergio si interroga appunto: «”Come nasce la poesia” è la domanda/ alla quale più spesso mi capita/ di non rispondere». È l’eterna domanda di Hordelin: perché i poeti nel tempo della povertà? È la domanda che assillava Heidegger. La poesia di Sergio, a volte prosaica, cerca di cogliere il senso di una vita sfuggente, i cui attimi non sempre sono petali cadenti di fiori, o portatori di gaudio. Questo “cogliere l’attimo” non sempre giulivo e felice, ma significa: vivi l’esistente! Ci richiama cioè all’esistenza, al senso profondo dell’essere. E l’esistente molte volte è intriso di quel montaliano male di vivere. Ci si trova in una condizione di “gettatezza” nel nulla, sempre per adusare delle espressioni care ad Heidegger. L’attimo sfila come l’anguilla di Montale, è come «l’anima verde che cerca/ vita là dove solo/ morde l’arsura e la desolazione/ la scintilla che dice/ tutto comincia quando tutto pare/ incarbonirsi, bronco seppellito…». È come la vita di Saba: «La vita, la mia vita, ha la tristezza/ del nero magazzino di carbone,/ che vedo in questa strada …». E ancora: «… Le foglie/ morte non fanno a me paura, e agli uomini/…». E il grande profeta Omero ci ammonisce: quale la generazione delle foglie, tale è quella degli uomini.

Vincenzo Capodiferro

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