14 luglio 2016

Recensione di un ergastolano al libro “L’eutanasia di Dio”

Recensione di un ergastolano al libro “L’eutanasia di Dio”
Lo so, perché sono uno scrittore. (Pier Paolo Pasolini)
  
I libri mi hanno sempre dato l'occasione di scappare da tutti i miei problemi, dandomi la possibilità di trovarne altri. Poi leggere mi ha dato l'opportunità di conoscere più me stesso.
Ieri è entrato nella mia cella il libro, fresco di stampa, di Luca Russo dal titolo “L'eutanasia di Dio” (edito da “Sempre”) e l'ho posato sopra il mio sgabello, accanto alla mia branda. Questa mattina mi sono svegliato all'alba. Appena ho aperto gli occhi ho notato che il libro di Luca mi osservava. Ho fatto finta di nulla. E mi sono alzato. Mi sono fatto il caffè. E mi sono fumato la prima sigaretta della giornata. Poi mi sono rimesso a letto per finire di leggere le ultime pagine di un libro che ho iniziato giorni fa ma, con la coda dell'occhio, vedevo che il libro di Luca sopra lo sgabello continuava ad osservarmi.
 
Alla fine mi decido, poso il libro che stavo leggendo e prendo quello di Luca. Leggo subito la dedica che mi ha fatto:
Assisi, 15 maggio 2016
A Carmelo, hai fatto della tua storia la storia di tutti. Ti sei dato in pasto al mondo come “galeotto” ma il tuo cuore è immerso nella purezza di uomo “libero” … soprattutto “libero di amare” . Con affetto, Luca
Penso che incominciamo male, o bene, a seconda dei punti di vista, perché comincio già a commuovermi.
Poso il libro. Mi rialzo e fumo un'altra sigaretta. E inizio a fare avanti e indietro per la cella. Quattro passi avanti, mi giro e ricomincio. E mentre cammino penso alla prima volta che ho incontrato Luca.
 
Era il lontano anno 2007. Un numeroso gruppo della Comunità Papa Giovanni XXIII, con la presenza del fondatore Don Oreste Benzi, era venuto a trovarci nel carcere di Spoleto. Con la mia solita aria da provocatore, mangiapreti e “Senza Dio”, avevo chiesto, sicuro che mi avrebbero risposto di no, se appoggiavano uno sciopero della fame degli ergastolani per chiedere l'abolizione dell'ergastolo. Mi ricordo che Don Oreste aveva chiuso gli occhi e quando ormai pensavo che si fosse addormentato, li aveva riaperti e aveva detto semplicemente di sì. Ci rimasi male, perché mi ero sbagliato, ma ci rimasi anche bene, perché non ero più solo a combattere contro i mulini a vento. A quel tempo, Luca era il “Responsabile di Zona” della Comunità. Dopo qualche giorno mi arrivò ufficialmente questa comunicazione: “Il Consiglio dei Responsabili della Comunità ha deciso di sostenere l'iniziativa per l'abolizione dell'ergastolo, ora dovrà decidere in che modalità sostenere la battaglia”.
 
Ad un tratto smetto di pensare. Mi sdraio nuovamente nella branda. E riprendo il libro in mano. Inizio a leggere la prefazione di Giovanni Paolo Ramonda, Responsabile Generale dell'Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII. Delle sue parole mi colpiscono in particolar modo queste frasi: “La sofferenza, molte volte, non è data dall'handicap o dalla malattia, perfino terminale, ma dalla solitudine che si crea a causa di queste condizioni. (…) Diceva Don Oreste Benzi che c'è un'intelligenza che viene solo dall'amore. Per cui certe cose si capiscono solo se si ama”. Poi inizio a leggere la presentazione del Monsignore Claudio Giuliodori e colpiscono il mio cuore queste frasi: “Una vita non spesa e non donata fino in fondo per gli altri non è una vita pienamente vissuta e non può rendere veramente felici”.
Mi rialzo di nuovo con la scusa di prendere un pacchetto di fazzoletti e mi fumo un'altra sigaretta. Sento nella mia testa i pensieri del mio “Diavolo Custode” della Comunità Papa Giovanni XXIII che mi rimprovera che fumo troppo. Mi rifaccio due passi in cella. Poi riprendo di nuovo il libro tra le mani e continuo a leggere: “Vivo in casa con uomini che hanno vissuto 20, 30 anni di galera, e li ho visti convertiti dalla tenerezza della nostra piccola creatura, ho visto mani rugose, tatuate, con le dita monche e sfregiate, segnate da una storia di violenze e di rabbia, che maldestramente diventano docili in ogni carezza sulle guance liscissime di mio figlio. (…) Le lacrime mi riempiono gli occhi perché non sono ancora pronto a lasciare andare via il figlio del dolore. E così mentre i valori del monitor ogni tanto schizzano e atterriscono il cuore, la dottoressa con ansia e con voce accorata mi dice: "Canti, papà, canti! Perché quando lei canta il bambino riconosce la sua voce e non è più bradicardico. Canti!". E così canto il Pulcino Ballerino e la sua frequenza cardiaca si alza. Sapevo che era la sua canzone preferita. (…) Era entrato nella soglia della nostra casa famiglia come bimbo abbandonato dai suoi genitori perché scandalizzati dalla sua cerebropatia e poi ha trovato posto sul nostro lettone, con i nostri figli, nella nostra grande tavolata di 16 sedie. (…) Nella nostra casa famiglia non ci sono turni, non ci sono operatori, assistenti, educatori, non ci sono stipendiari”.
 
Senza neppure accorgermene, arrivo all'ultima pagina del libro. E mi  rendo conto anche che ho finito i fazzoletti e le sigarette. Ho sempre pensato che la lettura di un buon libro possa migliorare la vita, ma questo libro di Luca fa molto di più: ti apre il cuore all'amore. Ti fa comprendere che prima di ricevere amore bisogna darlo. E quando ami la tua famiglia, ami il mondo intero.
Grazie Luca di avere scritto questo libro anche se forse, più che te, dovrei ringraziare il tuo cuore, perché credo che l'autore di questo libro sia più lui che te.
 
Carmelo Musumeci
Carcere di Padova, 2016

 

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