28 agosto 2017

Museo di Antropologia Criminale “Cesare Lombroso” Marco Salvario

Museo di Antropologia Criminale “Cesare Lombroso”
Marco Salvario



Personaggio dai molteplici interessi, ricercatore affamato di regole e scoperte, Cesare Lombroso (1835-1909) ha spesso turbato, offeso o scandalizzato, chi si è occupato di analizzare le sue metodologie e i risultati delle sue ricerche. Il mondo accademico, che con tanto entusiasmo e rispetto aveva accolto le sue opere e che l’aveva ricoperto di riconoscimenti, in seguito ha in parte ribaltato le teorie da lui proposte, dimostrandone sistematicamente l’infondatezza se non la malafede.
D’altro canto Lombroso, che non si chiamava Cesare bensì Marco Ezechia, fu un coraggioso pioniere e cercò con perseveranza la verità sugli aspetti del comportamento umano che portano a violare le regole del vivere civile. Il nostro, fondò la sua ricerca sull’analisi delle caratteristiche fisiche e misurabili dell’individuo alienato o criminale, concentrandosi in particolare sulle ossa craniche che collezionò, misurò e fece riprodurre in migliaia di calchi.
Il suo limite fu quello, comune ad altri scienziati di tutte le epoche e di tutti i campi, di credere con passione cieca alle proprie intuizioni e, una volta teorizzata una possibile risposta, confermarla utilizzando i dati e i campioni favorevoli e ignorando completamente quelli che le erano contrari.
Spinto dal suo entusiasmo, Lombroso arrivò a identificare le corrispondenze comuni ai criminali violenti, ai ladri, ai truffatori e alle prostitute, sostenendo che dall’analisi delle ossa craniche si potesse valutare la propensione o meno ai reati. Ovviamente non basta misurare la testa di una persona perché una banca possa essere rassicurata sull’onestà di un suo impiegato o un marito geloso su quella della propria moglie, però il Lombroso si muoveva in tal senso.
Una delle conseguenze estreme e tuttavia inevitabili della sua analisi, era che per il criminale, essendo tale non per scelta ma perché vittima di un “marchio di caino” impresso nel proprio cranio, il carcere non poteva essere né uno strumento di rieducazione né una pena meritata. Che colpa aveva il criminale se era nato predestinato a delinquere? Quindi l’assassino avrebbe cercato ancora di uccidere, il ladro di rubare e la prostituta di adescare clienti.
Alcune conclusioni cui lo scienziato era arrivato in campo sociale sono però importanti e attuali, anche se la loro giustificazione è intuitiva, da uomo che ha lavorato e gestito a lungo carceri e manicomi, oltre che essere stato medico militare durante la guerra al brigantaggio.
La condanna feroce che il lavoro dello scienziato ha subito e che ha reso difficile reperire uno alloggiamento dove accogliere le testimonianze della sua attività, è in parte dovuta all’utilizzo distorto e pretestuoso che negli anni successivi è stato fatto delle sue idee, facendo accusare il Lombroso, tra l’altro, di avere posto le basi per permettere al nazismo di affermare la superiorità dell’uomo ariano sulle altre razze: Lombroso, per altro, apparteneva a una famiglia ebrea di stretta osservanza e, se effettivamente affermò la superiorità dell’uomo bianco europeo su quello nero africano, è anche vero che tra le razze bianche considerava superiore proprio quella ebraica.

Ottenuto nel 2001, faticosamente e non senza stucchevoli polemiche che ancora oggi continuano, un proprio spazio espositivo, il Museo Lombroso non è un vero museo articolato quanto un contenitore provvisorio per la gran quantità di materiale che la famiglia Lombroso ha salvato del suo famoso antenato.
Le collezioni esposte comprendono disegni, fotografie, calchi, corpi di reato come i coltelli, camuffati da crocifissi, che banditi vestiti da frati usavano per sorprendere le proprie vittime. Molto interessante la raccolta di produzioni artigianali e artistiche realizzate dagli internati, molto spesso riportanti scritte, faticose e ingenue, di pentimento e rimorso.

Mi prendo qualche riga per una polemica che, dopo la visita, mi sembra inevitabile. Perché al Museo Lombroso, come in molti altri, vige il divieto di fotografare? Capisco che si vieti l’uso del flash, nocivo ai reperti e fastidioso agli altri visitatori. Capisco che si vieti, pena denuncia, l’uso delle foto senza autorizzazione per scopi commerciali. Non capisco perché le foto personali, da rivedere come ricordo, da condividere con gli amici, non debbano essere consentite. Potrebbero essere utili a far conoscere a più persone un museo che non può competere con i grandi musei di Torino, ma che pure ha una sua dignità e, insieme al Museo di Anatomia Umana “Luigi Rolando” e ai modelli del Museo della Frutta, tutti ospitati nel Palazzo degli Istituti Anatomici, garantiscono al visitatore un pomeriggio curioso e istruttivo.

http://museolombroso.unito.it/

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