17 ottobre 2017

LO SCULTORE IGNAZIO CAMPAGNA Ultimo erede degli artisti viggiutesi a cura di Vincenzo Capodiferro

LO SCULTORE IGNAZIO CAMPAGNA

Ultimo erede degli artisti viggiutesi


Ignazio Campagna è nato a Bagheria, nel palermitano, nel 1956. Il padre Pietro era cavatore di tufo: forse da questo mestiere paterno Ignazio ha ricevuto e trasmesso la solenne tradizione della modellazione della pietra. Ma oltre a questo impulso infantile, senz’altro importante, è a Viggiù che il nostro impara l’arte della scultura. È qui, nella Valcersio - la valle dei ciliegi - che si trasferisce nel 1969. Viggiù è stata una illustre patria di artisti, soprattutto scultori, che hanno lavorato in tutto il mondo e fin d’antica data. I maestri viggiutesi hanno contribuito ad abbellire le nostre cattedrali. La loro perizia nasceva anche dalla qualità delle pietre, adatte alla metamorfosi estetica: quella stessa che fece esclamare a Michelangelo dinnanzi al Mosè: perché non parli? Molti di questi artisti erano anche emigrati nelle Americhe, portando con sé la loro arte. Ignazio Campagna però è un artista viggiutese acquisito: è un emigrante in paese di emigranti, ove ha saputo coniugare l’arte dello scolpire la solarità del tufo con i cinerei massi varesini, infondendo loro una vitalità infuocante ed eruttiva, quasi etnica (nel doppio senso riferito all’Etna – Etna, oltre ad indicare una dea, si riferisce alla fucina di Efesto, il dio artigiano). Ha frequentato il Liceo Artistico “Angelo Frattini”, ove tuttora insegna, da alunno, diventando maestro e trasfondendo così la sua magistrale competenza agli allievi. Si è diplomato presso l’Accademia di Brera ed ha lavorato per un certo periodo presso lo studio dello scultore Vittorio Tavernari di Barasso, nonché presso quello di Ettore Cedraschi a Milano. Tra le sue opere si segnalano un’opera scultorea monumentale, alta sette metri, per la Repubblica del Ciad, nonché la “Maternità”, in pietra aurisina. Ha collaborato con Francesco Somaini alla realizzazione della Leucotea, della Porta d’Europa. Molte opere sono presenti in varie collezioni, sia pubbliche, che private. Ignazio parte dalla classicità e ci ripropone pezzi che è difficile ritrovare, i quali si avvicinano alla nostra tradizione rinascimentale. Egli stesso si descrive: «Ecco, calandomi in questo antico mestiere percepisco la forza vitale della materia che lentamente prende forma. Un percorso lungo quarant’anni prima tra le botteghe dei picasass e poi negli studi dei maestri per cui ho lavorato. Le forme si sono avvicendate in un turbinio di soluzioni che partendo dall’inizio della mera figura umana si sono evolute dirigendosi sempre di più verso ricerche più sintetiche e geometriche» (Vedi la Presentazione di Ignazio Campagna. Scultore, Castiglione Olona 2015). Formae educuntur e potentia materiae. Ci ripetono gli Scolastici: le forme vengono tratte dal seno della materia, la Grande Madre. Così il nostro, come nota Ettore Ceriani, si mette alla scuola di Leonardo: «è nel passaggio dal blocco alla forma che lo scultore infonde quella che Leonardo chiamava la “Sapienza” (da non intendersi come puro “mestiere”). Ed è ancora Leonardo a fornire una guida da seguire: “Ogni nostra cognizione principia da sentimenti”». E Croce ribadisce: l’arte è espressione di un sentimento. D'altronde noi siamo come statue viventi, scolpite dal Creatore, che ha infuso su modelli d’argilla il soffio dello spirito: gli esempi della statua riportati da Condillac, ma anche da Leibniz, non sono casuali! Nell’opera d’arte c’è sempre il marchio dell’artista. Grazie ad Ignazio, per la sua arte, perché abbiamo bisogno di artisti veri, che stanno scomparendo! A Viggiù sono scomparse le botteghe artigiane! Egli ha saputo infondere nelle sue opere un tocco di magia e di vivida plasticità che si muove in un atteggiamento da classicista-futurista. Il movimento si dilegua nei lenti tratti che si avvicinano all’eternità delle pose e si perdono nelle dimensioni “infinitanti”. A primeggiare sono sempre forme antropomorfe, che ritoccano un umanesimo panico. La forma umana si evolve in varie trasfigurazioni: arboree, stilizzate, come i “Pilastri viventi” (2015), velate in finti bassorilievi, come “Deposizione e Resurrezione” (2003). Non mancano interpretazioni cubiste, come “Marsia. Stacco dell’Io” (2006) e neofuturiste (“Nuotatori”, 2000; “Ultimo nuotatore” (2007); “Scirocco” (2012), che si intrecciano con temi neoclassicheggianti (come la citata “Maternità”; “Paternità” (2008) e Amore (2008)).

Vincenzo Capodiferro 

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