29 gennaio 2018

ELEZIONI E TIMORI EUROPEI di Antonio Laurenzano

ELEZIONI E TIMORI EUROPEI
di Antonio Laurenzano

Fra promesse e invettive, si avvicina in un clima di incertezza il voto del 4 marzo. E sulla movimentata vigilia elettorale è suonato l’allarme dell’Europa per le incognite legate alle prospettive economiche e politiche . Il commissario Ue agli Affari economici Pierre Moscovici, che distribuisce le “pagelle di stabilità” ai Paesi dell’Unione, ha parlato di “rischio politico in Italia per l’Ue” per la spregiudicatezza dei partiti nel promettere tagli e sconti fiscali non compatibili con il precario quadro di finanza pubblica del Paese. Gli hanno fatto eco Christine Lagarde, Presidente del Fondo monetario internazionale, che ha sottolineato “i rischi associati all’incertezza politica” per il nostro debito pubblico in continua crescita, e in settimana, al World Economic Forum di Davos, il segretario generale dell’Ocse Angel Gurrìa: “scegliere fra chi propone di andare avanti sulle riforme e chi dice no a tutto senza fare proposte vere”.
L’Europa, in particolare, ci guarda con attenzione. Nessuna indebita intrusione di Bruxelles nella campagna elettorale, ma “legittima preoccupazione di salvaguardare la stabilità della comune casa europea”, già minacciata dal difficile negoziato Brexit, oltre che dalla fuga in avanti del nuovo governo austriaco in rotta di avvicinamento con la “banda dei quattro” di Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica ceca e Slovacchia) che frenano il processo di integrazione europea. A livello comunitario si teme che dalle urne, alle prossime elezioni, difficilmente usciranno condizioni di governabilità in linea con gli impegni presi dall’Italia con i Trattati europei, dai criteri di Maastricht, al patto di stabilità, al fiscal compact. E sui parametri Ue è scontro fra le forze politiche per alcune delle quali “i vincoli europei sono una gabbia” che sarà necessario aprire per mantenere le tante promesse fatte in campagna elettorale, in primis la flat tax, alla ricerca di copertura. A meno che non intervenga la … “fatina blu” ad assicurare le adeguate risorse finanziarie.
Ma sforare deficit, debito e spesa pubblica, se può essere funzionale a catturare voti, comporta molteplici rischi. Non solo quelli legati alla instabilità economica e finanziaria e alle speculazioni dei mercati con ripercussioni sullo spread e conseguenti ricadute sul debito, ma anche rischi di natura politica. L’Italia, terza economia della zona euro, si avvierebbe verso una pericolosa deriva isolazionistica, allontanandosi dall’originario progetto politico europeo che aveva contribuito a disegnare. Le divergenze economiche, in una unione monetaria, difficilmente possono coniugarsi con la coesione politica.
In tale contesto di precarietà si inseriscono i timori di Bruxelles nella consapevolezza che per l’Italia, appena uscita dalla grave crisi finanziaria e recessiva dell’ultimo decennio, abbandonare una politica fiscale prudente, con una spesa pubblica in deficit, vorrebbe dire vanificare gli sforzi fatti da famiglie e imprese per superare la crisi. E se, in un Paese super indebitato come il nostro, mancano certezze di copertura, il buco di bilancio potrebbe causare nuove rovinose cadute con danni per quegli stessi cittadini ai quali, con ricette miracolistiche, si chiede ora il voto. Un voto che non potrà essere considerato una licenza per scommettere con inquietante leggerezza sul futuro del Paese! Accantonare dunque ogni facile populismo e guardare con realismo i conti pubblici e il quadro economico generale per realizzare programmi seri e concreti proiettati verso una dimensione europea che implicano azioni di governo coraggiose e credibili. E la priorità non potrà che essere l’abbattimento del debito e una robusta spending review!


L’Europa si appresta a rimettersi in moto e la svolta politica tedesca prepara il rilancio dell’Unione in sintonia con la Francia. Un input per la riforma dell’Eurozona, punto di partenza per una maggiore integrazione europea per alcuni partner accanto alle “velocità diverse” per altri. Lasciare le sorti dell’Ue nelle mani frano-tedesche sarebbe un atto autolesionistico, una scelta fortemente miope sul piano politico. L’Italia deve ritrovare in fretta la sua dignità europea di Paese fondatore, di Paese che tanto ha fatto per i flussi migratori. E’ tempo di una proposta forte sull’Europa, anche in termini di cambiamento, e non dei soliti riti accusatori e delle solite sterili lamentele farcite di demagogia e prive di memoria storica. Sull’asse Berlino-Parigi corre il futuro dell’Unione, compresa la difesa comune e la questione dei migranti. Idee ambiziose per uno scenario di grandi prospettive. E l’Italia non potrà rimanere dietro le quinte a causa di un anacronistico provincialismo sul quale i nostri ondivaghi leader dovrebbero riflettere molto più seriamente, superando interessi di bottega e uno strumentale antieuropeismo.

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